Partiamo parafrasando Rem Koolhass: delirio New York.
Con questo ho già detto tutto. O, meglio, tutto quello che (non) posso dire.
Se devo togliere la parte lavorativa, di questo viaggio resta ben poco, ma non per questo non c’è stata l’occasione di vivere la città che non dorme mai.Anzi, l’essere trasportati continuamente da una parte all’altra tra Avenues e Streets, incontrare decine di persone totalmente diverse, respirare la frenesia tipica di questa metropoli, passare da zone esclusive ad aree in forte sviluppo, dialogare con l’alta borghesia conservatrice e dopo pochi minuti con la classe creativa emergente, è forse proprio il modo migliore per vivere New York.
E poi grazie a Chiara (the one from NYC, not the other one) c’è stato modo anche di approcciare
Come il quartiere attorno alla stazione di Bedford, area industriale che sta avviando un’operazione di riqualifica e che tra qualche anno ritroveremo sicuramente molto diversa.
E poi la zona della Columbia University dove sembra di essere più in Europa che negli Stati Uniti e dove si respira l’imponenza dell’accademia, il peso storico dell’istituzione universitaria americana e la forza della cultura. Un intero quartiere, a ridosso di Central Park, che vive per l’università. Ma come diceva Chiara non c’è confronto con
E pensate che proprio qui il giorno dopo il mio sbarco si è consumato un incontro in classe con il caso umano Chiastra: 30 minuti di domande di giovani studenti di italiano. Domande preparate per cercare di capire che cavolo di lavoro sia quello del comunicatore (“A me sembra un lavoro inutile”, tanto per fare un esempio dell’accoglienza ricevuta), per cercare di collocare sul mappamondo quel piccolo centro urbano denominato Parma e per capire il motivo della presenza di Chiastra nella grande mela.
Poi, della New York non lavorativa, ci sono le serate. Quelle passate con Chiara tra ristoranti vari e case private di cervelli italiani in fuga; ricordiamo soprattutto il dopocena nel locale Piola (grazie!). I kilometri a piedi per guardarsi attorno e, molto spesso, sopra la testa, verso l’alto. C’è anche Strand: splendida esperienza letteraria in un locale storico e, per me, fonte di regali.
Come unica concessione turistica c'è stato il MoMA. Domenica mattina, finalmente in tranquillità, l'ingresso nello splendido contenitore realizzato dal giapponese Taniguchi è stato tanto piacevole quanto la precedente colazione, firmata Starbucks, con Chiara (the one from Parma, not the other one). Un viaggio continuo tra mille ricordi universitari, un lungo sfogliare di pagine di un libro di storia dell'arte, un susseguirsi di stanze che diventano decenni del '900 e momenti storici diversi. Il tutto all'interno di uno spazio pulito ed elegante, costruito per l'arte con arte.Incastonato tra i "soliti" grattacieli newyorkesi e i palazzi che testimoniano una storia di ormai più di cento anni, il MoMA è un autentico regalo per chi ama fruire l'arte e non subirla, come spesso accade.
Questi sono un pò di frammenti di New York. Solo qualche frammento di un'esperienza vissuta, come sempre, con estrema passione. Dieci giorni di emozioni. Perchè io mi sposto, ma certe cose le porto sempre con me. E altre, purtroppo, restono a New York.
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